Riforma appalti: bufera sul nodo del limite per il subappalto

08/04/2016

 Per una volta, tutto sembrava andare liscio: certo, c’erano posizioni differenti, così come pareri contrastanti, ma il giudizio generale sulla Riforma degli Appalti era comunque generalmente positivo tra addetti ai lavori, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali e datoriali, tutti convinti della necessità di dotare il Paese di un nuovo e migliore sistema per gestire questo delicato settore. L’idillio è durato poco, almeno per quanto riguarda un nodo che si è rivelato particolarmente controverso, ovvero l’eliminazione del limite previsto per il ricorso al subappalto, che inizialmente era stato salutato come importante traguardo per aumentare la trasparenza delle opere.

Sorpresa (poco gradita) in bozza. Nelle prime stesure, infatti, come raccontato puntualmente nelle news di aggiornamento di Appaltitalia, il giornale di gare e bandi pubblici del nostro Paese, era stato raggiunto un accordo per imporre un limite rigido, nella misura del 30 per cento, alla possibilità di subappaltare i lavori relativi a un appalto, in modo da arginare l’eventuale ingresso di imprese “infiltrate” e rendere più efficaci i controlli. Nell’ultima bozza presentata prima del definitivo Consiglio dei Ministri, invece, questa norma è stata improvvisamente modificata, o per meglio dire cancellata, scatenando la reazione allarmata e preoccupata di sindacati e associazioni di professionisti.

I timori della Cgil. Affida le sue considerazioni a una lunga intervista a La Repubblica la leader della Cgil, Susanna Camusso, che ribadisce come lo stravolgimento delle norme sul subappalto siano un passo indietro sul terreno della legalità, perché questo strumento “ora potrebbe arrivare ad una moltiplicazione senza limiti”, in particolare nel settore delle costruzioni, che sarebbe condannato a una “pericolosa frammentazione”, con i lavoratori esposti a ulteriori rischi in termini di “precarietà, minore sicurezza e qualificazione”. Ragionamento simile quello portato avanti dai segretari generali di categoria (Fillea-Cgil, FenealUil e Filca-Cisl), che unitariamente hanno espresso la delusione e la preoccupazione per l’abolizione del vincolo alla possibilità di subappaltare i lavori da parte dei vincitori di una gara pubblica, che porterà a “inevitabili ripercussioni” sul fronte della qualità del lavoro e della ricomposizione del ciclo delle lavorazioni.

La risposta politica. I timori sono confermati anche dalle parole di uno dei principali promotori dell’intervento legislativo, il senatore Stefano Esposito, che è stato anche relatore in Aula della Legge Delega: al Sole 24 Ore, l’esponente del Partito Democratico ha infatti evidenziato come sia probabile una correzione del tiro da parte del Consiglio dei Ministri per ripristinare una norma che “presenta profili delicatissimi legati alla sicurezza del lavoro e alle infiltrazioni mafiose”. Il ministro Delrio ha comunque spiegato che il cambiamento si è reso necessario per armonizzare la normativa italiana con quella degli altri Paesi europei, sottolineando comunque che – nonostante la liberalizzazione – sia stata introdotta una maggiore vigilanza, come l’obbligo di indicare già in sede di offerta una terna di imprese subappaltanti (ma solo se previsto nei bandi di gara) e la limitazione dei casi di pagamento diretto del subappaltatore da parte della stazione appaltante. Troppo poco, sempre secondo i sindacati, che incalzano: sarebbe stato meglio che il “subappalto libero” prevedesse “le stesse modalità adottate, per esempio, in Francia e Germania, dove tra l'altro aprire una impresa edile è possibile solo con requisiti severi e precisi. L'unico modo per ottenere questo è l'introduzione, nel nostro sistema, della ‘Patente a punti’, uno strumento semplice che garantirebbe la qualificazione delle imprese”, ma che al momento è lontano dal concretizzarsi.

Il tema da vicino. Senza voler esser maliziosi, a vincere alla fine sono state le pressioni dell’Ance, che in particolare richiedeva proprio una limitazione dei pagamenti diretti delle stazioni appaltanti ai subappaltatori, e delle cosiddette imprese superspecialistiche. Il tetto al 30 per cento resta infatti vincolante in questo ambito (e in quello delle opere ad alto contenuto tecnologico), per evitare una ulteriore destrutturazione del mercato e la comparsa di situazioni in cui il costruttore-appaltatore principale potesse subappaltare quote anche ampie di lavori senza neppure costituire associazione temporanea con le aziende specialistiche.

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